Tommaso di Giovanni Cassai, meglio noto come Masaccio, nasce a Castel San Giovanni in Altura, l’odierna San Giovanni Valdarno. Sintetizzando la descrizione che ci è stata tramandata per iscritto ad opera del Vasari, possiamo percepire l’indole caratteriale di questo artista.
Egli è visto come colui che non si preoccupa del proprio aspetto o addirittura che non riscuote i suoi crediti, almeno fin quando di questi non ne avesse avuto un vero e concreto bisogno, perche preso totalmente dall’arte.
La descrizione della sua forma caratteriale è la chiave che meglio traduce il suo soprannome che non va letto in senso dispregiativo, come potrebbe lasciare intendere la desinenza -cio generalmente peggiorativa, ma per una intemperanza attribuitagli solo per una peculiare trascurataggine.
Difatti altra testimonianza scritta che smentisce chiaramente il senso dispregiativo del suo appellativo, e di qualsiasi altra denigrante allusione imputata al suo carattere, è nella dicitura di una frase che lo indica come “…la bontà naturale…”. Questo basta ad intendere quale fosse la vera indole caratteriale di questo immenso artista.
Un personaggio singolare dunque per gli standard dell’epoca che si distingue dai suoi contemporanei certamente non per il suo - “particolare”- aspetto caratteriale, ma sicuramente per la propria visione innovativa, genitrice di una concezione moderna della pittura. Per tale motivo egli va a collocarsi, per merito, tra le grandi figure fondamentali della storia dell’arte italiana.
Le informazioni che ci sono giunte, riguardo a Masaccio, del suo breve periodo di attività - di circa sette anni - circoscritta da un’altrettanta fugace esistenza, localizzata tra 1401, anno della sua nascita, e il 1428 anno della sua precoce scomparsa avvenuta a soli 26 anni[1], sono viziate da grosse lacune e scarne notizie, spesso anche confuse, ma sufficienti a riconoscere in lui, un artista fondamentale del primo e secondo quarto del Quattrocento.
Egli in questo breve periodo realizza in pittura quello che Brunelleschi in architettura, e Donatello in scultura, avevano in parte già realizzato.
Le sue abilità artistiche, come la sua visione innovativa, si possono individuare fin dal periodo giovanile nel dipinto del Trittico di San Giovenale, del 1422, e sempre in crescendo, il proprio pensiero pittorico, si riafferma nuovamente come un inedito modello nella Sant’Anna Metterza, del 1424 circa, nonché data corrispondente al sodalizio artistico con l’anziano compagno e collega Masolino, per poi trovare la sua completa evoluzione artistica nell’affresco della Trinità, nel 1427-28, anno che segna anche la sua misteriosa morte avvenuta nel mese di giugno a Roma.
[1] Nato nel dicembre del 1401, morto nel giugno del 1428.
Particolare (parte terminale di destra) dell’affresco che comprende le scene della Resurrezione del figlio di Teofilo e San Pietro in cattedra, Cappella Brancacci, Chiesa di Santa Maria del Carmine, Firenze. In questo particolare è possibile individuare Masaccio, in un suo autoritratto visibile nel personaggio che guarda lo spettatore, poi dietro sul fondo di piccola statura è stato riconosciuto un possibile ritratto di Masolino, in primo piano il ritratto di Leon Batista Alberti e Brunelleschi ultimo personaggio sulla destra.
In questo ristretto arco di tempo della sua attività artistica, Masaccio compie passi da gigante e fissa i presupposti per una pittura moderna, dalla quale prenderanno esempio molti dei grandi protagonisti del Rinascimento.
Nella sua opera gli elementi che lo contraddistinguono dai contemporanei, che continuano a perseguire quelli che sono i canoni del gotico internazionale o comunque di radice medioevale, possono essere principalmente individuati su tre fattori, questi sono:
La costruzione dell’ambiente mediante una consapevole applicazione dei principi prospettici dettati da regole oggettive e da un attento allestimento dell’impianto strutturale dello scenario e delle figure; l’utilizzo di una nuova tecnica pittorica, basata sulla giustapposizione di colori complementari, la quale sarà ripresa da Michelangelo nella Sistina; l’elaborazione di un disegno mosso dallo studio scientifico della figura, realizzata con un attenta analisi anatomica tratta dal vero e con un concreto realismo, fortemente espressivo, quanto vivace.
Novità forse assoluta nelle sue opere è quella di raggruppare similmente personaggi comuni a personaggi sacri. Con questo sintomatico schema la figura della Madonna nell’opera di Masaccio acquista una familiarità, nei tratti e nelle espressioni, pari a quella di una donna comune dell’epoca.
I santi nei suoi dipinti non hanno più quella postura rigida e formale, come nella pittura di stampo medioevale, ma sono ripresi da modelli comuni della quotidianità, tante è vero che sono vecchi o anziani del luogo, avvizziti e segnati dal tempo, dai volti marcati dalle forti espressioni rugose. Oppure nella rappresentazione pratica quanto oggettiva di personaggi comuni, come per esempio nell’affresco Il Battesimo dei neofiti, dove questi sono raffigurati come manovali o contadini del tempo, con una corporatura strutturata e ben definita che lascia intuire un attento e articolato studio scientifico dell’anatomia.
Uno dei particolari più “rivoluzionari” che va osservato nella ritrattistica di Masaccio è quello che le figure comuni entrano nelle scene religiose, non più in punta di piedi, ma con un marcato individualismo, e una solida consistenza rappresentativa che le porta ad occupare nell’impianto storico narrativo un proprio spazio scenico. infatti queste non sono più soggette ad un rimpicciolimento grafico rispetto alle figure sacre, ma vengono riprodotti con la stessa metrica e matrice con cui vengono raffigurate le figure dei personaggi sacri.
Ci sarebbero tanti altri aspetti da osservare nell’opera di Masaccio su cui soffermarsi e riflettere, ma è interessante esaminare i criteri artistici del ritratto. Perche nel Quattrocento italiano le problematiche riguardanti la ritrattistica sono parte indiscutibile dell’opera di questo grande artista.
Egli nel ritratto si libera di quella astrazione simbolica e di tutti quei stereotipi di cultura medioevale, per incarnare attraverso la sua pittura il vero naturale, uno dei concetti basilari del pensiero umanistico.
Per meglio apprezzare e capire il ruolo che ha avuto questo artista nella storia dell’arte italiana e nello specifico quello riguardante il genere del ritratto, bisogna partire da un affresco che purtroppo è andato perduto, La Sagra, realizzato tra 1424-25, della quale ci sono giunte solo delle copie da parte di noti artisti, come Michelangelo, Andrea Commodi e altri meno noti o addirittura ignoti. Disegni e bozzetti correlati da scarne notizie, tutto materiale comunque valido per capire quanto basta della metodologia artistica di Masaccio, soprattutto nei confronti del ritratto.
L’affresco La Sagra era una testimonianza figurativa della solenne cerimonia di consacrazione della Chiesa del Carmine che si svolse a Firenze il 19 aprile del 1422, alla quale presero parte uno stuolo di personalità.
Nell’immagine sopra un bozzetto a matita ispirato dai disegni e dalle diverse ricostruzioni dedicate all’affresco perduto della Sagra [1424-25, Chiesa del Carmine, Firenze] – Il bozzetto ha lo scopo di mostrare come presumibilmente doveva apparire l’opera di Masaccio. Un lavoro che brulica di figure poste perfettamente in uno spazio prospettico ben definito.
In questa occasione, grazie alle notizie che ci sono giunte, possiamo capire come egli oltre alla perseverante realizzazione realistica delle figure, prediligesse il ritratto dal vero, già dallo studio preliminare. Infatti, per la realizzazione di questo affresco, egli elaborò dei bozzetti durante la stessa funzione celebrativa disegnandoli dal vero e fu sorprendente per chi lo osservò nel suo intento, di come questi riuscì a fissare su carta non solo le vere sembianze fisiche e somatiche dell’aspetto di tutti coloro che presero parte alla cerimonia, ma anche una precisa e ordinata collocazione di tutte queste figure nello spazio.
Fu proprio in questa occasione che Masaccio ebbe modo di conoscere per poi ritrarre dal vero, in uno studio dettagliato e approfondito, molti dei personaggi illustri che parteciparono alla Sagra, ed è forse in questa occasione che prende spunto uno dei tre ritratti, di tipo autonomo di profilo a mezzo busto, attribuitogli proprio in relazione di questo evento, Ritratto di giovane del 1423-25, dove nel personaggio raffigurato è stato riconosciuto un giovane Leon Battista Alberti.
Ritratto di giovane - 1423-25, tempera su tavola, 41x30 cm - Isabel Stewart Gardner Museum, Boston.
Un fattore che va evidenziato, riguardo alla tipologia del ritratto autonomo a mezzo busto, è quello che questo genere di rappresentazione nella ritrattistica Italiana del primo quarto del Quattrocento è più unica che rara. Infatti questo genere di ritratto, in pittura, acquista un largo consenso in Italia solo verso il 1440, ispirato al modello delle monete e delle medaglie antiche e soprattutto influenzato dal pensiero umanistico.
Nelle fiandre questa modalità di rappresentare ritratti risulta già ampiamente diffusa nel primo Quattrocento, mentre antecedenti a questo periodo vi è solo un unico e raro esempio, il Ritratto di Giovanni II il Buono, re di Francia del 1360 circa, custodito al Louvre, Parigi, realizzato da un artista anonimo di origine francese, ma sicuramente di cultura fortemente italianizzata.
Questa sintetica descrizione riguardante la propagazione del ritratto autonomo a mezzo busto, può farci capire di quanto ampia e innovativa fosse la visione di Masaccio e di come nell’opera Ritratto di giovane, ci possono essere tutti i presupposti per interpretare il ritratto come un raro esempio di questo genere pittorico del primo quarto del Quattrocento italiano. Periodo in cui la pittura era ancora fortemente influenzata, oltre che da un pensiero artistico medioevale, anche da un complesso e precario contesto storico-sociale del paese.
Masaccio, come un astro che solca il cielo, in pittura si ingegna e inizia un esperienza che troverà i suoi massimi risvolti nei suoi successori, come negli esponenti di quel movimento artistico che sarà poi identificato con il nome di Rinascimento.
Trittico di San Giovenale, 1422, tempera su tavola, 108x65 cm lo scomparto centrale, 84x44 cm entrambi i laterale – Pieve di San Pietro a Cascia di Reggello, Firenze.
Nel dipinto del Trittico di San Giovenale del 1422, egli si libera già di alcuni motivi tardogotici come delle decorazioni e di quella delicata sinuosità nelle forme. In linea con il pensiero innovativo di altri artisti contemporanei, quali il Ghiberti e il Brunelleschi, imposta una costruzione prospettica oggettiva dello scenario e una modulazione plastica delle figure da suggerire nell’insieme una concretezza mai vista prima.
Nel ritratto del volto della Madonna i tratti umanizzati richiamano quelli di una donna comune della quotidianità fiorentina. Nel chiaroscuro vi è una evidente definizione dei lineamenti, energicamente espressivi, che puntano già verso un concreto realismo. L’atteggiamento della Madonna, ripreso nell’atto di sorreggere verso di sé il figlio, acquista una dimensione reale. Il Bambino allo stesso modo nelle fattezze naturali della propria corporatura amplifica quella tangibilità nei modi e dell’essere umano, soprattutto nel gesto di succhiarsi le due dita dopo aver mangiato un chicco d’uva, presagio simbolico del vino dell’Eucarestia. In questo dipinto anche le figure dei santi sono realizzate nella stessa modalità con cui è stata rappresentata la Madonna, questi nelle espressioni dei volti e soprattutto nella struttura delle loro vesti lasciano intravedere particolari di una anatomia ben concepita, allontanandosi nettamente da quello stereotipo rigido ed astratto delle effige del gotico internazionale.
Sant’Anna Metterza, 1424, tempera su tavola, 175x103 cm – Galleria degli Uffizi, Firenze.
Nell’opera Sant’Anna Metterza, del 1424, lo sviluppo e la crescita della pittura di Masaccio si definiscono efficacemente, soprattutto nel ritratto. Nella raffigurazione del volto della Madonna e in particolare nell’ovale pienotto e aggraziato si può riconoscere una comune donna o mamma dell’epoca. Il chiaroscuro, applicato con sagace maestria, dona alla figura maggior tridimensionalità e nel drappeggio delle vesti, una profonda plasticità a tratti scultorea, dando modo al soggetto di occupare uno spazio reale e concreto nell’insieme scenografico. La postura è ben armonizzata nella posizione delle gambe, come nell’articolazione delle braccia. Il Bambino non ha più quella impostazione iconologica che continua a caratterizzare la pittura dei sui contemporanei, ma egli è raffigurato con sembianze materialmente umane, tangibili e riconoscibili in una struttura del corpo molto ben definita e muscolosa.
Nell’insieme dell’opera le figure, tramite il susseguirsi di precise proporzioni volumetriche e indizi prospettici, acquistano mediante il chiaroscuro una più solida visione prospettica dell’ambiente scenografico. Le sottili indicazioni di uno spazio realistico aumentano la veridicità dell’evento, rendendo tutto molto efficace e tangibile.
La cacciata di Adamo ed Eva, 1425-26, affresco, 214x90 cm. Cappella Brancacci, Chiesa di Santa Maria del Carmine, Firenze.
Nella Cappella Brancacci, della Chiesa del Carmine, la parte affrescata dove vi è rappresentata La cacciata di Adamo ed Eva, del 1425-26, si può osservare la completa e radicale rottura con la pittura di tradizione medioevale. I due personaggi vengono colti nel momento più drammatico dell’evento. Le figure con una propria volumetria si muovono in uno spazio creato da luce e prospettiva. Il ritratto del volto di Eva straziato e fortemente segnato dallo sconforto esprime un efficace sentimento di dolore, tanto reale, che coinvolge completamente lo spettatore e mentre ella avanza coprendo le sue fattezze femminili, la mimica del volto è colta in uno sgraziato pianto da racchiudere un urlo che riflette tutto il peso del peccato. Adamo, anche lui, come Eva, raffigurato con una costruzione anatomica credibile, si copre il volto e con lo stesso sentimento provato dalla compagna, si dispera per il Paradiso perduto. Il fattore rivoluzionario della rappresentazione di questa scena non è tanto la nudità ben raffigurata dei personaggi, ma l’atteggiamento nelle movenze, libere e sciolte, riprese da modelli “veri dal vero”.
Nella cacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso Terrestre, l’aspetto che ostenta una sottile ed efficace dinamicità delle figure è assolto attraverso una costruzione spaziale realistica e tramite un vivo ed energetico sentimento. In questa scena il dinamismo è proposto anche dalle figure concretamente umanizzate dal proprio dramma vissuto, modello di rappresentazione questo che dipana ogni complicanza stilistica di raffigurazione, suggerendo quella convenzione naturalistica della figura, suggerita per esempio dall’ombra portata delle figure. Questi sono elementi che in gran parte caratterizzano tutto il lavoro di Masaccio, specialmente nel genere del ritratto, dove tutto si risolve attraverso il “vero” dal vero, come di quella che è la sua concreta concezione e visione pittorica.
Il Battesimo dei Neofiti, 1425-26, affresco, 247x172 cm. Cappella Brancacci, Chiesa di Santa Maria del Carmine, Firenze.
Sempre nella Cappella Brancacci, nell’affresco della scena Il Battesimo dei Neofiti, del 1425-26, questo fattore di forte umanizzazione e realismo delle figure riprese dal vero è ancor più visibili. Tutte le figure ritratte, principalmente quella del giovane inginocchiato in primo piano che riceve il battesimo, lasciano percepire un attento e sorprendente studio anatomico.
Nella plasticità del corpo del giovane si percepisce una razionale osservazione delle forme che sembrano essere quelle di un uomo che svolge un lavoro pesante, un manovale o un contadino dell’epoca. La capigliatura bagnata dall’acqua è risolta in un immagine estremamente naturalistica, eccezionale è l’impatto visivo dell’acqua che dalle ciocche gocciola leggera manifestandosi attraverso i propri riflessi. Sempre nella stessa scena è mirabile come Masaccio riesca attraverso tanto naturalismo a far esprimere alle figure dipinte non solo sentimenti, ma anche una sottintesa sintomatologia che questi vivono, come il giovane sulla destra dello spettatore che con le braccia conserte cerca di trovare la giusta termoregolazione al proprio corpo esposto forse ad una temperatura sicuramente non confortevole.
Trinità, 1426-28, affresco, 667x317 cm. Chiesa di Santa Maria Novella, Firenze.
Nella Trinità, affresco del 1426-28, il fattore rivoluzionario della sua pittura è “Trino”, perche rappresenta le tre arti del disegno, quest’opera è il capolavoro per eccellenza che manifesta a pieno l’arte italiana del primo Rinascimento.
Masaccio, in uno spazio ben concepito, pone personaggi comuni in una scena sacra e questi, anche se collocati in un modulo periferico della composizione scenografica, sono rappresentati nelle proprie fattezze tramite un ricercato naturalismo, così da occupare comunque uno spazio ben preciso e proporzionato, pari alle figure sacra. Le figure comuni, come quelle sacre vengono assimilate con estremo realismo e queste ultime esprimono nella loro figura la stessa metrica di quelle comuni, come anche nelle forme e nelle espressioni. La Vergine Maria (figura a) in questa rappresentazione è raffigurata come una donna attempata avvolta in un mantello blu. Ella con un gelido sguardo segnato da una rigorosa impassibilità, si rivolge allo spettatore e con il gesto della mano destra indica il figlio morto sulla croce. Con questo atteggiamento la Vergine Maria sembra voler richiamare l’attenzione del sacrificio assunto dal Cristo. Masaccio in questo modulo espressivo è come se volesse combinare un senso di umanità, sofferente e reale, con un’immagine di mistero divino.
Figura a
particolare dell'affresco, Trinità
Poi tra i personaggi sacri vi sono due personaggi comuni, forse i committenti del lavoro. Eccezionale la raffigurazione del personaggio in ginocchio sulla sinistra in basso dell’affresco (figura b) forse Domenico Lenzi, il quale è raffigurato con pragmatico realismo, soprattutto nei tratti somatici del volto che sembrano suggerire di essere stato ripreso dal vero, al naturale, tanto da mostrare un curioso fattore anatomico, quello dell’orecchio piegato in modo caricaturale dal copricapo che l’uomo indossa. Il ritratto di quest’uomo è realizzato con un impeccabile realismo e la struttura del corpo non è fine alle sue vesti, ma definisce la forma ed il movimento di quest’ultime lasciando percepire un ottima costruzione anatomica della figura.
Figura b
particolare dell'affresco, Trinità
Masaccio ha saputo interpretare un tipo di pittura che nessuno prima di lui ha osato veramente fare, il suo ingegno in pittura è stato tale da influenzare intere generazioni di artisti, come molti dei grandi nomi del Rinascimento e non solo, la sua pittura è giunta a decidere le sorti del ritratto fino ai primi del novecento.
Peccato che il suo percorso vitale sia stato così breve, perche chissà quanto ancora avrebbe potuto contribuire in pittura con la sua visione artistica. Forse se Masaccio avesse avuto una vita più lunga oggi, oltre ad occupare un posto di rilievo nella storia dell’arte italiana, avrebbe anche una popolarità sensibilmente più concreta rispetto ad artisti, oggi tanto osannati, che nella fattispecie si sono ispirati alla sua opera prendendo quest’ultima come punto di riferimento.
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Sergio Marcello Rizzi (mercoledì, 20 maggio 2020 16:40)
Salve Le pongo un quesito nella didascalia del particolare del primo affresco Lei scrive:"... Masaccio, in un suo autoritratto visibile nel personaggio che guarda lo spettatore, poi dietro sul fondo di piccola statura è stato riconosciuto un possibile ritratto di Masolino, in primo piano il ritratto di Leon Batista Alberti e Brunelleschi ultimo personaggio sulla destra" è assolutamente certo che di questo? In particolare è certo che Leon Battista Alberti sia presente in questo affresco?
Sergio Marcello Rizzi (sabato, 23 maggio 2020 09:28)
Salve Giuseppe il dubbio resta, e per il materiale in mio possesso, parte del quale Le ho inviato, non è stato possibile concordare appieno con quanto Lei asserisce in quanto alcuni storici e chiamiamoli esperti sono del suo stesso avviso mentre altri concordano parzialmente, Donatello al posto dell'Alberti, altri ancora non azzardano una precisa individuazione né l'autore. Chi ha affrescato la cappella Brancacci, Masolino, Masaccio e Filippino Lippi, potrebbero aver realizzato parte di quel particolare, propendo a favore di Filippino ma solo per quel particolare ed in questo caso Alberti potrebbe essere presente nell' affresco; in caso contrario non posso concordare con Lei in quanto Alberti arriva a Firenze intorno al 1934 ma Masaccio è morto da quasi otto anni. Il prof Federico Zeri, non riconosce Alberti, non solo, ma neanche gli altri tre, così pure una studiosa (non sono autorizzato a nominarla ma le posso comunicare dove trovarla) che ha lavorato ai restauri della cappella non si pronuncia. Ma in rete ho trovato un un video La Cappella Brancacci: l'occhio di Masaccio, dove al minuto 38 circa mostra i quattropersonaggi in computer grafica evidenziandoli e indicandoli con precisione. Per il momento è tutto. La ringrazio
Cordiali saluti
sergiorizzi